domenica 28 dicembre 2014

La Scienza è (anche) Donna. Ma la politica deve fare di più e meglio

di Simonetta Ottone • Diverse donne italiane di scienza hanno fatto grandi cose negli ultimi anni, e quest'anno in particolare.
Ad esempio Fabiola Gianotti, che già nel 2012 aveva conquistato la 5° posizione  nella graduatoria del Times "Persona dell'anno", per la sua attività di scienziata presso il CERN (Organizzazione Europea per la Ricerca Nucleare) è stata ora promossa a Direttrice dello stesso organismo (e cioè a primo direttore donna nella storia del CERN). Nomina che ha così commentato:  lavorerò per la Scienza e al servizio della Pace.
Poi c'è Samantha Cristoforetti, che nonostante il suo essere aviatrice, ingegnera, prima donna italiana astronauta, prima donna italiana negli equipaggi dell'Agenzia Spaziale europea, prima donna italiana nello spazio,  mantiene un sorriso generoso e semplice. Deve essere vero che la scienza, con questa sua voglia di scoprire ciò che non sappiamo, ci ricorda quanto siamo piccoli.
In questo cupo 2014, Fabiola e Samantha, sono guizzi di luce sfavillante negli occhi di Isabella, una ricercatrice che mi parla di loro sorridendo.
Come nella storia comune delle donne, anche nella scienza le figure femminili hanno dovuto farsi largo fra divieti e difficoltà - ma ci lasciano grandi ispirazioni. A cominciare da Marie Curie, insignita nel 1903 (assieme al marito) del Premio Nobel per la Fisica, e poi ancora nel 1911 di un secondo Nobel per la Chimica. Da giovane dovette scappare in Francia dalla Polonia, perché le donne non avevano accesso agli studi superiori. Una delle poche volte in cui si ricorda più la moglie che non il marito. Fra le scienziate italiane recentemente scomparse non si possono poi non ricordare Rita Levi Montalcini (Nobel per la Medicina 1986) 

e la grande Margherita Hack, donna intelligente e ironica.
Isabella è biologa marina presso un Centro Ricerche in Tossicologia marina in Toscana, e mi parla di loro con questo viso aperto e curioso. E' napoletana, anche se il suo accento è appena riconoscibile. Si è laureata a Napoli, poi è andata via in giro per l'Italia, poi in Francia dove ha vinto una borsa. A fine giro è rientrata a Napoli, dove è stata assunta stabilmente come ricercatrice presso "l'Acquario", o meglio la Stazione Zoologica Anton Dhorn, centro di eccellenza nato per esclusivi fini scientifici: un luogo antico dove è nata la Biologia dello Sviluppo e dove Isabella ha coronato uno dei suoi sogni più grandi.
Ricorda del suo percorso iniziale, prezioso grazie a una donna nata in Canada, figlia di emigranti italiani, che le ha dato tanto dal punto di vista scientifico. Una guida. A Napoli però era difficile vivere. Nel 2008 la città sta dei mesi sommersa nella spazzatura, con rischi di epidemie impensabili: un senso di abbandono, di vergogna, di ingiustizia. Quella Toscana in cui avevamo scelto di far nascere la nostra bimba in acqua, a Poggibonsi nel 2005, diventa un miraggio, dice. Per la ricerca di base, non applicata, non si trovano finanziamenti in Italia, così decide di dedicarsi alla ricerca applicata, all'acquacoltura e all'inquinamento marino e trova un contatto di lavoro valido in Toscana in ambito ecotossicologico.
Scopro anche Livorno, una Napoli anni '50, per come me la immagino, quella rilassatezza, pacatezza della gente che passeggia sul lungomare nei giorni feriali... una visione di famiglia che a Napoli oggi vedi al massimo il Sabato o la Domenica. Livorno è una città sconosciuta ai più, non l'avevo quasi mai visitata: il suo lungomare mi ha stregata, e quel porto dolce, dietro al quale partono subito le colline morbide nell'entroterra. Isabella parla con gioia, gratitudine: quando la mattina percorro queste colline mi dico - ma è vero, che io abito qua in questa meraviglia? Ciò che desideravo l'ho trovato in Toscana: una figlia, lavorare col mare, poterlo guardare, un luogo a dimensione umana. Se vado a Napoli è una cosa quasi sempre per lavoro, veloce, dormo in albergo, voglio sentirmi ora solo una turista, là. E le ragazze lavoratrici di Napoli, con le loro dimissioni in bianco, che pena.
E vuole lasciarmi qualcosa di interessante su cui scrivere, così mi spiega che nelle facoltà di biologia sono più numerose le donne: questa scienza non è dell'uomo, lo è la chimica, l'ingegneria.
Per le donne, però, farsi strada nella ricerca scientifica è un impegno doppiamente faticoso, se bisogna occuparsi di una famiglia il tempo non basta mai, e il sistema culturale non aiuta. La Hack e la Montalcini non a caso non avevano figli e hanno dedicato moltissima parte della loro vita alla ricerca. Non è in alternativa alla famiglia, la puoi fare comunque, ma non ti permetti di fare molti grandi passi: la donna con prole e marito, che deve far fronte a un grande impegno professionale, incluso la necessità di viaggiare e avere scambi internazionali anche per lunghi periodi, non viene seguita dall'uomo, siamo abituati che è la moglie che segue il marito. A alti livelli, per la cultura italiana, uno dei due deve rinunciare. Nelle università americane o del nord Europa c'è un altro concetto: si cerca di trovare collocazione a tutta la famiglia, altrimenti chi va da solo lavora peggio. C'è la tendenza intelligente per cui, se una persona vale, le va dato l'assegno di borsa alle migliori condizioni. Non come qua che ci sentiamo di non essere desiderati, né messi in condizione di competere con gli altri: è un peccato, perché noi italiani abbiamo grandi potenzialità intellettuali. Per non parlare delle condizioni in cui tanti di noi devono vivere e lavorare, come precari a vita o senza possibilità di crescere, avanzare.. Isabella mi guarda cogliendo ogni mia espressione, e aggiunge: ti dirò di più. Nella ricerca, ad esempio, i 5 mesi di maternità non sono coperti, non prendi nulla e non ti valgono come anzianità: si congela tutto, come se in maternità tu non esistessi più, come ricercatrice. E se penso ai posti di un certo livello, non mi viene in mente un rettore donna
E' vero: ad oggi sono 4 in tutta Italia! Lei, da studiosa, riflette anche sul fatto che, prevalentemente, va avanti la donna che ha un tutoraggio maschile, un marito, un padre. La cultura femminile dovrebbe svilupparsi così tanto da non permettere agli uomini di adagiarsi sugli allori e di sfruttare ogni vantaggio possibile, anche biologico, per mantenere le loro posizioni: e la politica fa a meno di tutto, della scienza, delle arti applicate, si gestisce da sola, in modo avulso dalla realtà. Non posso credere alla politica finché un Ministro alla Giustizia, prima lo era all'Ambiente, non è accettabile rispetto alle dure selezioni che affronta chi si muove nel mondo reale del lavoro e delle professioni senza supporti politici. Capisco che un Veronesi Ministro della Sanità possa essere troppo - dentro - e alimentare la situazione da noi mai risolta del conflitto d'interesse, ma non può essere che la politica si autonomini in ogni ambito, determinando la cosa più difficile, anche per chi ha approfondite competenze teoriche e pratiche: le scelte. Che sono la responsabilità maggiore. E aggiunge, con un'espressione amara: noi abbiamo bisogno della politica, ma la politica fa a meno di noi: un Ministro dovrebbe non solo circondarsi di tecnici (che tra l'altro come i consulenti incidono sulla spesa pubblica), ma dovrebbe avere la decenza di confrontarsi continuamente con gli operatori di settore che lavorano sul campo.
Bè, ha ragione: un Ministro che viene soltanto dalla politica o poco più, è frutto di una cultura prevaricatoria, basata sull'invasione costante di campo. Anch'io come artista sono molto stanca di far giudicare il mio lavoro da chi non ha competenze neanche elementari in materia, ma è stato messo là da qualcuno, per ragioni "altre", di sistema.
Isabella mi guarda seria: non ho mai pensato che le donne siano sempre migliori: ci sono tante donne bambole in giro, utilizzate da uomini per il mantenimento del loro controllo. C'è stato recentemente uno scandalo in Toscana sulla vendita di latte artificiale per neonati, nell' interesse di aziende farmaceutiche: tra tutti i pediatri, gli informatori, i primari, i dirigenti sanitari e d'azienda inquisiti, non c'è stata nemmeno una donna... e questo dovrebbe far riflettere un po' tutti!

domenica 21 dicembre 2014

Conciliazione tempi di vita e lavoro: un tema che le organizzazioni aziendali non possono più ignorare

Finché i ruoli fra uomini e donne non saranno riequilibrati, parlare di conciliazione tempi di vita e lavoro significa (purtroppo) parlare principalmente di donne.
Nella maggior parte dei casi, infatti, è scaricato sulle spalle femminili il barcamenarsi tra orari entrata/uscita figli a scuola, orari apertura/chiusura uffici pubblici e negozi. Molto, molto spesso le donne si devono anche occupare della gestione familiare di anziani non autosufficienti di contrappasso con orari lavorativi spesso ingessati in schemi rigidi e poco conciliabili con tutto questo.
Sono ancora poche le aziende italiane che prevedono all'interno della propria organizzazione un'ottica di genere in tal senso, prevedendo ad esempio orari flessibili in entrata/uscita, possibilità di part time per determinati periodi della vita lavorativa per esigenze temporanee, oppure il telelavoro che in Italia ha trovato poche applicazioni.
Naturalmente tutti questi carichi di vita e di lavoro spesso creano stress e diminuzione talvolta della produttività quando invece le donne sanno essere nella maggior parte dei casi molto più efficaci ed efficienti dei colleghi uomini - come dimostrato in molti studi di settore fatti al riguardo – se messe nelle giuste condizioni di vita e lavoro.
La comparazione con gli altri Paesi, specie del Nord Europa ci vede molto indietro anche dal punto di vista della conciliazione orari vita/lavoro e quindi bisogna fortemente far si che cambi la mentalità aziendale, non solo ricorrendo a nuove normative, dal momento che l'azienda ha tutta l'autonomia per darsi un'organizzazione appunto in un ottica di genere. E' necessario quindi che movimenti di opinione, workshop, seminari, forze politiche si facciano carico di promuovere politiche a sostegno della genitorialità e della famiglia. Informare e coinvolgere sempre più le realtà con esempi pratici di fattibilità e risultati concreti di benefici raggiunti in aziende che si sono organizzate seguendo i principi dell'ottica di genere.Le Pari Opportunità di genere, infatti, sono biunivoche, per cui il diritto alla genitorialità e all'inserimento della cultura della cura e della famiglia anche per i compagni uomini, rappresenta un passo determinante per progredire sul versante sia pratico che culturale.

sabato 20 dicembre 2014

Ilaria Alpi, una storia complicata

di Simonetta Ottone. 32 anni. A 32 anni io ho avuto il mio bambino. E forse è stato lui che ha messo al mondo me.
A 32 anni Ilaria è morta.
E' stata fermata, le foto che la ritraggono non sono più cambiate, le guardo e le riguardo da anni, ma sono sempre quelle. Lei è rimasta lì dentro, in quel suv in pieno sole africano.
In questi giorni Luciana Alpi, la madre coraggio che lotta dapiù di 20 anni per fare luce sull'assassinio della propria figlia, una delle pagine più oscure della nostra democrazia avanzata, ha deciso di non continuare a sostenere il Premio giornalistico Ilaria Alpi, perché non lo trova più utile: nessuna indagine, nessuna volontà di restituire giustiziaLa combattente sembra deporre le armi: la battaglia non è una bandiera, né può essere infinita.
Nel ventennale della morte di Ilaria, il tempo ci ha giudicati.
E ho nelle orecchie la sua voce che mi ringraziava per il fatto di parlare in teatro di Ilaria. Lei ringraziava me, per così poco. La sua voce, forte e fiera, si infrangeva in commozione un attimo, ma subito tornava piena d'orgoglio. Una voce così diversa da quella di Giorgio, il padre, che con un filo gentile e pacato, si complimentava: Bravi. Il testo è bello e circostanziato.  E' una storia complicata.
Anch'io mi sento delusa e offesa. Anch'io ho fallito nei miei piccoli intenti di cittadina e artista. Abbandonare il progetto del premio, però, non significa ancora arrendersi: "voglio la verità; la rassegnazione non mi appartiene. La mia non è una resa: dopo le feste dovrebbero mandarci i documenti delle diverse commissioni parlamentari di inchiesta; c'è molta roba e leggerò tutto: vedremo se avranno lasciato qualcosa di interessante o un bel niente. Il tempo è dalla parte degli assassini, ma io spero ancora di sapere, prima di morire. Se non ce la farò, pazienza: la verità storica la sappiamo tutti", dice Luciana Alpi.
Ma mi chiedo cosa voglia dire lasciare questo mondo, come Giorgio ha fatto, con questo nodo immenso. E cosa voglia dire percorrere il tramonto della propria vita assistendo impotenti, come si dice, al rito di uccidere due volte una figlia persa nel fiore degli anni. Simonetta Ottone

venerdì 12 dicembre 2014

Convenzione di Istanbul: l'Italia è pronta?

di Simonetta Ottone • In occasione del 25 Novembre sono stati organizzati dal Consiglio Regionale della Toscana due bei convegni, di cui uno sulla Convenzione di Istanbul. Numerosi gli ospiti, ognuno dei quali ha fornito un punto di vista utile a inquadrare una questione complessa che suggerisce riflessioni di ampio raggio. Mi rifiuto di parlare di violenza di genere (solo) in termini numerici. Ovunque vengono pronunciati numeri inimmaginabili, che hanno solo il suono di parole.
Il 2013 ha visto cifre intollerabili, il 2014 solo lievemente inferiori. Più di 100, in questo anno in Italia, i bambini resi orfani di madre, dai loro stessi padri. E, ogni volta, non ci indigniamo mai abbastanza: alcuni giornali dichiarano di ricevere più proteste e richieste di chiarimenti quando pubblicano notizie di violenza su animali, che su donne.


Nell'Italia della sperquazione dei poteri, la Violenza si riproduce in ogni forma. Il potere dei datori di lavoro aumenta? E così aumentano le molestie sessuali in ambito lavorativo e non sempre la risposta legislativa calza sul mondo reale del lavoro (la lacuna normativa sul mobbing, che colpisce maggiormente la grande impresa, rimane una lacuna insopportabile).
Nonostante una donna uccisa tra le pareti domestiche ogni 2,5 giorni ormai da anni, ancora non c'è una raccolta sistematica di dati che possa fornire correlazioni tra una particolare donna e un particolare uomo, che possa accedere a atti processuali, nel tentativo di dare risposte tempestive a persone violate e prevenirne altre.
"Gli autori di questo tipo di reati, d'altra parte, non rientrano in nessun profilo esistente, né psicologico, né criminologico. Buona parte di ciò che dobbiamo affrontare in questo ambito, ci è ignoto. Ecco perché la politica deve costituire un'Agenzia Nazionale contro la violenza sulle donne", dice Fabio Roia, Magistrato del Tribunale di Milano.
I maltrattanti siamo noi, la gente comune, non incensurati, sono professionisti affermati che si trasformano tra le mura domestiche. Parlare di mostri o di "raptus" (fenomeno pare inesistente anche da un punto di vista psichiatrico), è ostinarsi a non misurarsi con la realtà.
E continua, Roia: "I fatti ci confermano che si parla di un fenomeno che ha una sua specificità: le donne vengono ammazzate perché c'è un'errata valutazione del rischio. Va capito dove si trova il nodo, in che punto ci arrestiamo o torniamo indietro".
Dal momento che una donna narra il fatto, parla di relazioni malate per gelosia o separazione, o per l'affidamento dei figli, deve essere fatta correttamente un'analisi del rischio, sapere quanto questa donna sia esposta o no, se sia necessario l'allontanamento. E allora mi domando: che succede dopo che la donna querela, fa un'azione chiara? Se la mediazione è rischiosa e non da percorrere, siamo però in grado di prendere una donna in carico a 360°?
I dati accennati dal Magistrato dicono che il 77% dei medici di base, il 69% di chi opera nel Pronto Soccorso, il 55% di chi è impegnato in strutture pubbliche, non hanno sentore di trovarsi di fronte alla violenza sulla donna. E la disgregazione sociale, l'assenza di contenimento sociale, accentuano la solitudine della maltrattata.
Se è vero che la soluzione non sta solo nelle aule giudiziarie, siamo pronti sul piano culturale? E quale è la cultura giudiziaria di riferimento? Non sempre i magistrati che giudicano questo tipo di casi sono specializzati in questo ambito specifico. Di fronte a processi recentemente svoltisi in Italia, assistiamo sovente a sentenze paradossali. Come nel caso di uno stupro in cui gli atti processuali dichiaravano che la disparità tra i due non era così forte, perché lei semincosciente (per abuso d'alcol) e lui più giovane di 20 anni. Siamo sicuri che chi giudica conosca tutte quelle scienze complementari necessarie a valutare un ambito così delicato e particolare? E gli avvocati che assistono le vittime sono preparati a far crescere il processo non con elementi effimeri di fronte al giudice? E visto che di solito l'autore del reato vuole sfidare la donna anche in ambito processuale, cosa facciamo in presenza di situazioni che portano alla "vittimizzazione secondaria" stabilita dalla Convenzione di Istanbul, come nel caso di donne che nel processo devono parlare di violenze subite non solo davanti a tutti, ma avendo in faccia il loro aggressore?
Perché in un processo i diritti del deputato non devono superare la tutela e il diritto alla salute della vittima, e in certi casi, come grazie a questa Convenzione la Legge c'è, ma tutti quanti la dobbiamo realizzare, visto che allargare l'interpretazione alla luce della Convenzione è diventata la Legge dello Stato Italiano.
Una Legge molto, molto avanzata per noi, che ci obbliga a fare passi davvero grandi.