lunedì 11 dicembre 2017

Disancorati

di Simona Volpi • Leggere un libro: “Disancorati” di S. Ottone, ed avere un vuoto dentro appena esso termina... avere bisogno, dopo la lettura dell'ultima pagina, di sapere cosa accadrà a quei ragazzi, a quel gruppo.

Avere anche una certezza: loro hanno conosciuto la danza, quell'arte che oltre ai corpi fa danzare le  diverse anime e le diverse storie di ognuno di loro, di ognuno di noi, e che ha la capacità di rendere tutti uguali, abili e disabili, virtuosi e peccatori, ricchi e poveri.
L'autrice ha sicuramente raggiunto l'obiettivo di trasmettere il suo sapere nella materia e lo ha fatto con una abilità che va oltre il tecnicismo e coinvolge anche i lettori meno esperti.
Ne parlo con lei:
-          Simonetta, come nasce questo libro? E come mai scegliere la scrittura per raccontare una storia di Arte, Limite e Amore?
 “Il piacere di leggere mi è stato trasmesso (e affettuosamente imposto) in famiglia.

I miei tenevano, e tengono,  una nutrita libreria di centinaia e centinaia di libri, per lo più classici, che dovevo chiedere in prestito ogni volta a mio padre (tuttora ne è gelosissimo, non per il valore delle edizioni, spesso ancora con il prezzo di poche lire, ma per l'opera stessa).
Mi mise presto in mano Hemingway, Mark Twain, Jack London, Steinbeck, Faulkner, Dino Buzzati, Primo Levi, Moravia, Elsa Morante… mia madre Oriana Fallaci,  De Maupassand, Dostoevskj, quindi i russi e i francesi.
Io poi ho continuato, lasciando che i libri mi “rimettessero in ordine” e mi rifocillassero dalle fatiche della vita che ti chiede la danza.
Iniziai a scrivere Disancorati dopo un lungo periodo a contatto con persone particolari, in Comunità, Centri Diurni, SERT, Case famiglia, dove tengo spesso laboratori di DanzaTerapia.

Il testo approdò nel 2011 ad uno spettacolo, un assolo di TeatroDanza che fu presentato in vari luoghi e teatri e da cui fu tratto un cortometraggio (a cura di Marco Sisi), finalista al Festival del Cinema Patologico (Roma, 2012).
I personaggi presero ancora più corpo, finché non si riunirono in questo romanzo.

Lo scrissi nel 2012; fu pronto nel 2013 ma non trovai subito editori interessati a pubblicarlo.
Altre storie, progetti, spettacoli presero il soparavvento. Nel 2017, dopo molteplici revisioni (grazie a Barbara Idda e Valerio Nardoni), Eizioni Creativa che già aveva pubblicato il mio saggio Danzare il simbolo, ha deciso di pubblicarlo e dare a questa storia un’opportunità.
In entrambi i libri il tema è lo stesso, ma il romanzo permette ad un’esperienza di essere fruita da persone non per forza educate alla materia o addette ai lavori. Il romanzo riesce a raccogliere tutto, ha potenzialità enormi, se di qualità, ovviamente; in questo senso sono un’esordiente, e mi pongo con estrema umiltà di fronte a tutto questo.”

-          Da cosa sei partita per scriverlo? Quali caratteristiche sono evidenziate?

Il Teatro è senz'altro un filo che "lega il sangue" di Disancorati.
Vi si parla di Antonin Artaud, di Carmelo Bene, e di quella teatralità che si ha quando si abitano i margini.
Ma anche la pittura, la scultura, la danza, come possibilità di riorganizzarci, di riconoscere un ordine ideale ed estetico nei nostri gesti, concreti e simbolici. Penso alla potenza espressiva e “disobbediente” delle pioniere della Danza Moderna, dell’ Arte del Movimento libero sviluppatasi nel novecento, come reazione ad un secolo pieno di grandi sconvolgimenti.
Protagoniste della storia sono due donne: Erica e Lisa. Insieme,  cercheranno di  investire sul presente, trattenendo la Storia, individuale e collettiva, ritrovare il punto da cui siamo partiti in origine, e far sì che la bellezza sia il nostro approdo, una bellezza radicata nel corpo, nella verità.
In fondo si danza per questo, per “ricordarsi di Sé”, come parte di un tutto.

-          In che modo si parla di limite, di droga e follia? 
In questa storia contemporanea d’altri tempi, la vera protagonista è quell'osmosi tra donne e uomini che cercano un buon motivo per mettere in atto un cambiamento, radicale e condiviso dalla propria comunità.Quindi al centro di tutto c’è la Relazione, i legami che solo la sua qualità può instaurare, liberando energie.
Il linguaggio di Disancorato poggia su un lirismo di fondo, ma diventa spesso scurrile, con incursioni linguistiche dialettali; i fatti raccontati sono talvolta crudi, frutto della mia immaginazione, ma fortemente aderenti alla realtà. 
Non amo la crudezza per forza, può dare noia.
Mi dispiace, ma la vita lo è. 

Prossimi appuntamenti? 
Disancorati ha debuttato a Novembre all’interno del PISA BOOK FESTIVAL 2017, poi ha iniziato i suoi giri: dopo Pisa, siamo partiti dal sud, da Napoli, poi Firenze, e saremo a Livorno il 14 Dicembre.

lunedì 27 novembre 2017

Le Ragazze di Via delle Sorgenti siamo Noi

di Simonetta Ottone • Spesso pensiamo di non poter fare nulla per ciò che circonda: la realtà è complessa e ricca solo di contraddizioni. Eravamo e siamo molto stanche di vedere ogni giorno quelle ragazze nigeriane sui bordi delle nostre strade, al caldo, al freddo, con visi assenti, in piedi o sedute su sedie bianche di plastica. Alcune tengono sempre un ombrello semi rotto, per ripararsi dal sole o dalla pioggia, alcune salutano, altre ti guardano tristi. Ad un certo punto a bordo strada, ormai da settimane, c'è una sedia storta, con un giacchetto rosso, lasciato lì, a ricordarci che quel giacchetto è di qualcuno, di una di loro che non è più tornata a prenderlo.
Sono giovani, spesso giovanissime, cambiano spesso. Le auto rallentano, spesso improvvisamente, frenano, si accostano, parlano e mercanteggiano tranquille. Fanno inversioni a U (anche camion e furgoni), ostacolano, sono un pericolo. A volte le ragazze salgono, a volte scendono. L'altro giorno ho visto un uomo che tornava all'auto in sosta precaria: si stava tirando su la cerniera, la ragazza camminava lenta dietro di lui.
Fino a un po' di tempo fa il mio bimbo mi domandava cosa facevano quelle ragazze lì; io gli rispondevo che aspettavano l'autobus, perché era difficile spiegare e trovare un motivo coerente, rispetto all'educazione che cerco di trasmettergli.
Poi ci hanno pensato le offese che i compagni di scuola dirigono dai finestrini a quelle ragazze, a quelle figlie di nessuno. Ne abbiamo parlato io e lui, e lui mi ha detto: "Mamma, ma se sei femminista devi fare qualcosa!". 
E così abbiamo fatto, insieme ad altre donne. 
Di seguito riporto il comunicato che il nostro gruppo ha diffuso in questi giorni:
Siamo liete di informarVi che grazie alla Campagna Le ragazze di via delle Sorgenti, lanciata da noi l'8 Marzo scorso, discreti risultati sono stati raggiunti.
Da Marzo One Billion Rising Livorno ha iniziato un forte lavoro di sensibilizzazione per il contrasto del fenomeno della Prostituzione nel territorio di Collesalvetti. Ha raccolto centinaia di firme da parte di cittadini, presentando un esposto al Comune di Collesalvetti. Ha lavorato quasi quotidianamente con i Carabinieri di Collesalvetti segnalando movimenti su Via delle Sorgenti da parte di clienti e favoreggiatori.
Sono state sporte più denunce da parte, in particolare, di una cittadina nostra sostenitrice: questa persona con la sua famiglia vive da anni un’invasione continua della sua proprietà privata che diventa luogo di consumo di prestazioni sessuali, con tutto  ciò che ne deriva in termini di disagio e scoramento.
Grazie al Consiglio di Frazione di Nugola e a tutti i cittadini che hanno firmato e ci hanno sostenuto, il Comune di Collesalvetti ha finalmente firmato l’ordinanza n.19/2017 che permette alle forze dell’ordine di agire contro clienti e favoreggiatori.
Qualcuno dice che le ragazze saranno messe da un’altra parte. Certo, può essere.
Ma se anche in quel territorio le parti sociali collaboreranno non sarà così facile schiavizzarle a cielo aperto e i presidi favoriranno la loro emersione.
Grazie alle Istituzioni che hanno collaborato con noi, tra cui la Prefettura di Livorno.
Questa notizia è stato il nostro modo di celebrare la Giornata Internazionale per l’eliminazione della Violenza sulle donne.
#LeRagazzediViadelleSorgentiSiamoNoi 
One Billion Rising Livorno 


lesalvetti segnalando movimenti su Via delle Sorgenti da parte di clienti e favoreggiatori.
Sono state sporte denunce da parte in particolare di una cittadina nostra sostenitrice per violazione proprietà privata, visto che aveva la prostituzione e le auto clienti in sua proprietà.
È stata fondamentale la sua azione e collaborazione.
Grazie al Consiglio di Frazione di Nugola e a tutti i cittadini che hanno firmato e ci hanno sostenuto, il Comune di Collesalvetti ha finalmente firmato l'ordinanza n.19 2017 che permette alle forze dell'ordine di agire contro clienti e favoreggiatori.
Qualcuno dice che le ragazze saranno messe da un'altra parte. Certo, può essere.
Ma se anche in quel territorio le parti sociali collaboreranno, non sarà così facile schiavizzarle a cielo aperto e i presidi favoriranno la loro emersione.

sabato 21 ottobre 2017

La casa del dentro e del fuori. Intervista a Elena Fossati

di Simonetta Ottone • Sono nella Casa - Studio di Elena Fossati, a Bovisio Masciago, in piena Brianza.




























Elena è una DanzaMovimentoTerapeuta, titolare di Lo Spazio, Centro di Cura, Accompagnamento, Sostegno basato su terapie non convenzionali, centrate sulla persona. E’ un posto dove si respira un’aria diversa, asciutta, essenziale, ma piena di possibilità.
 
Elena ha costruito questo luogo per la sua famiglia, per il suo lavoro, come atto concreto da condividere con la comunità di Bovisio Masciago e del paese tutto: la casa di Elena, oltre a contenere un importante Centro di discipline non convenzionali, è una delle prime case in Italia costruite in legno, a basso consumo energetico, a basso impatto ambientale, con più locali di lavoro tutti in pietra e rivestimenti in legno e argilla.
Sento le persone che di là salutano l’inizio di un incontro di Danze Sacre, il piacere di rivedersi, e poi volgo lo sguardo a questi strani muri d’argilla. Mi sembra di essere seduta in uno spazio perfetto. Fatta l’accoglienza da “buona padrona di casa”, Elena mi raggiunge e risponde alle mie curiosità:
 
Elena, come ti è venuto in mente di fare questa casa? Come è fatta, di preciso?
Vivere in una casa di legno era per me un sogno. Prima qua non c’era niente,  questo pezzo di terra lo abbiamo comprato. Io e Danilo, mio marito,  ci siamo rivolti all’agenzia CasaClima di Bolzano per ottenere una certificazione che ci ha inserito a livello CasaClima Gold e Nature, Gold per il consumo energetico ridotto e Nature perché abbiamo deciso per la costruzione di rispettare dei parametri che andassero verso il maggior rispetto dell’ambiente possibile. Per gli addetti ai lavori la nostra costruzione è sovrapponibile come caratteristiche alle case passive dei protocolli PassiveHouse. 
 
Quali sono gli elementi di forte innovazione?
 
I materiali eco-compatibili. La metodologia di riscaldamento e raffreddamento con pannelli radianti a soffitto (quando ne abbiamo bisogno); proprio per le sue caratteristiche tecniche l’edificio è ben isolato e schermato (in estate) dal sole, oppure in alleanza con il sole (in inverno) riesce a mantenere delle gradevoli temperature per gran parte dell’anno senza ausilio di raffreddamento/riscaldamento.  Un’altra innovazione la ventilazione meccanica continua, ovvero noi abbiamo un ricambio d’aria continuo. In parole povere noi possiamo non aprire mai le finestre per cambiare aria, in quanto il ricambio è continuo (al mattino in camera non hai mai la stanza che sa della notte passata in camera; quando si fa da mangiare… gli odori non ristagnano!). Un materiale interessante l’argilla al posto degli intonaci alle pareti interne! L’argilla è un ottimo termoregolatore: un materiale che assorbe umidità, oppure la rilascia. Fantastico. La domotica, ma ormai non è più così innovativa! Ah dimenticavo non abbiamo il gas… tutto elettrico! e abbiamo il fotovoltaico.
 
 Chi ha creato questo settore, da dove viene, chi lo diffonde? In Italia cominciamo ad adottarlo?
 
i paesi nordici: Germania, Austria. La nostra casa in legno è stata costruita in Austria, che non è poi così lontana da qui. Anche in Italia esistono buone ditte per la costruzione di edifici prefabbricati in legno, che come sai sono state utilizzate per zone terremotate.
 
La  tua in Italia è un’ esperienza pilota? So che è ritenuta un’esperienza d’eccellenza per la Lombardia, se non sbaglio 
 
La mia casa è seconda in Italia nel 2013 e prima in Lombardia!
Ora so che qualcos’altro è stato fatto in altre regioni e anche in Lombardia, ma non so la classe energetica CasaClima se è come la nostra, noi abbiamo sostenuto il massimo livello. 
 
Le Istituzioni  hanno collaborato e abbracciato il progetto, riconoscendo il Vostro impegno?
 
L’Agenzia CasaClima, all’epoca il Comune di Bovisio Masciago: alla consegna della targhetta era presente con il sindaco, ne hanno parlato giornali come il Giorno e giornali locali. 
Costoso? Cosa consiglieresti a chi intraprende questa scelta?
 
a chi vuole ristrutturare e/o costruire sul nuovo. Inizialmente sembra più costoso e lo è, ma poi si ammortizza e il comfort non è paragonabile alle nostre costruzioni tradizionali.  
 
Ha senso che la DanzaMovimentoTerapia (DMT) trovi casa in questa asa? C’è un collegamento?
 
Se pensiamo al fatto che la DMT ha un suo setting, ha un senso uno spazio che accoglie, che mette in relazione il dentro e il fuori, i confini naturali, ma pur sempre confini ….    
 
L’idea è stata tua o di tuo marito?
 
Il sogno di vivere in una casa di legno lo condivido con Danilo da quando ci siamo conosciuti e abbiamo iniziato a andar per monti oppure nel nord Europa!
Avevo sogni simili anche prima (volevo gestito un rifugio!!!!) L’idea reale di costruire questa casa nasce nel 2009 e da quel dì siamo partiti alla ricerca di professionisti che inizialmente potessero capire e gestire e aiutarci a realizzare questo sogno.  La parte più dura è stata il progetto, poi realizzarla non è stato lungo, l’abbiamo costruita in qualche mese e ci siamo finalmente entrati nel 2013. Entrambi ci abbiamo creduto. Collaboriamo da sempre,  il nostro rapporto è fondato sulla collaborazione. Certo,  io sono una vulcanica e quindi appena arrivata l’idea io sono partita a leggere libri, informarmi,  partecipare a convegni, corsi. Lui è più riservato, sta dietro le quinte, ma ogni bravo comico ha un’ottima spalla… e la spalla deve essere spesso più in gamba del comico! Lui oltretutto è un addetto ai lavori, è geometra. E questo è stato molto utile. 
 
Che significato ha avuto questo progetto?
 
Crediamo nell’importanza di vivere il presente e il futuro tenendo radici salde nella tradizione (il legno, il recupero di tecniche costruttive tradizionali riviste in ottica moderna).
Perché costruire uno spazio di lavoro sotto? Non perché sono brianzola e voglio lavorare fino a tardi, ma perché da anni mi occupo di luoghi di benessere e luoghi di malessere, mi ero interessata dell’importanza degli spazi di vita quando lavoravo in istituto psichiatrico negli anni 90 e poi me  ne sono occupata quando feci dei seminari all’università con una docente bio architetto in collaborazione con L’istituto Riza e la scuola di Naturopatia. 
Me ne sono occupata molto e ho scritto quando ho frequentato il master in assisemi Sanitari medicine tradizionali e non convenzionali in università Bicocca. 
Perché un edificio così? Perché vogliamo lasciare un messaggio per noi, i nostri figli, e gli altri. Mi piace la frase di Gandhi “Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo”.

mercoledì 20 settembre 2017

Legami e trasformazioni

di Simonetta Ottone • 1997 – 2017: Vent’anni di APID!
1 - 8 Ottobre 2017 settimana della danzamovimentoterapia su tutto il territorio nazionale: Il 2017 è un anno particolare per noi, perché è l’anno i cui festeggiamo i primi venti anni di APID.

Per l’occasione prevediamo iniziative volte a celebrare questo importante traguardo: dall’1 all’8 Ottobre si svolgerà una settimana piena di incontri, laboratori, convegni, mobilitazioni, presentazioni di libri, tavole rotonde... Un fermento gioioso che abiterà ogni luogo d’Italia!
Avremo l’opportunità di misurarci, in modo originale, con la storia e con la realtà delle varie regioni e dei territori che sono stati contaminati, o che lo saranno, dalla DanzaMovimentoTerapia (DMT) Apid.

Rifuggendo da ogni facile autocelebrazione, abbiamo pensato di far nascere la festa dal basso, affidando ai soci Apid l’importanza di organizzare la settimana della DMT 2017.
L’iniziativa sarà infatti tutta incentrata sulla presenza di questa disciplina, a partire dai territori e dalle esperienze di lavoro e studio a contatto con migliaia di persone e svariate centinaia di enti, istituzioni, realtà. Un ambito professionale quasi interamente abitato da donne. Nello specifico, si tratta di un evento nazionale con attuazione territoriale, che ha il pregio di sostenere un movimento policentrico che include e valorizza le differenze storiche, culturali e geografiche del nostro paese.
Già numerose le adesioni e i patrocini da parte di Enti quali Comuni e Regioni, come di Scuole e Università. Prevista entro l’anno anche una nuova pubblicazione APID, che fornirà informazioni, esperienze e approfondimenti utili a conoscere una disciplina tanto innovativa, quanto complessa.
Il tema di fondo è, come nelle Giornate Apid di Marzo 2017 a Livorno, la capacità della DMT di instaurare e alimentare legami che diano corpo alle trasformazioni di un’epoca storica caratterizzata da cambiamenti veloci, spesso traumatici.
Si lavorerà, nello specifico, su tre assi:
• Embodiment e Relazione di Genere
• Embodiment, Inclusione sociale e Intercultura
• Embodiment, Trauma e Resilienza

Si partirà il 30 Settembre con Legami, Flashmob in cui i DanzaMovimentoTerapeuti italiani “occuperanno” luoghi pubblici (e privati), dando vita a un’azione danzata collettiva, ove le parole chiave saranno: Fermati, ascolta, danza.
Tutto si svolgerà con pochi rumori, e con molta voglia di guardarci negli occhi.

Fermati, ascolta, danza... Che la settimana della danzamovimentoterapia abbia inizio!

lunedì 3 luglio 2017

Le Ragazze del COLAP: intervista a Emiliana Alessandrucci

di Simonetta Ottone • “La mia missione è mettere a disposizione degli altri competenze, capacità, un cervello, due orecchie”. Si apre così la pagina Facebook di Emiliana Alessandrucci, riconfermata recentemente nel mandato di Presidente del COLAP (Coordinamento Libere Associazioni Professionali).
E’ una ragazza grintosa, Emiliana; parla in modo veloce, è capace di spiegare chiaramente passaggi tortuosi sulla gestione del Lavoro Autonomo; è instancabile, energica e a volte simpaticamente “spiccia”, come sa fare chi ha il suo accento, bonario e pungente.
Donna, in un mondo difficile, quello delle Professioni non ordinistiche, dove la politica la devi gestire fin dal primo mattino, per difenderti.

Donna a  capo dell’esercito di Partite Iva in Italia, circa 3,5 milioni di lavoratori, 4% del PIL nazionale, pari all 14% di occupati, soprattutto donne e giovani.
Non si tira indietro Emiliana, e quando c’è da “dare una sveglia” alla solita politica pensata per un mondo di posizioni di rendita e privilegi, vecchio e fallimentare, lei parla, veloce e chiara, non scende a patti e esce come una voce libera e vera, anche all’interno del più duro confronto politico e televisivo.
La incontro a Roma, e le faccio qualche domanda:
-          Quali sono i temi importanti da affrontare nei prossimi anni?
-          Il programma di questi prossimi quattro anni lo costruiremo insieme alla nuova squadra del direttivo e a tutti i nostri Professionisti, ma lo faremo con la certezza che non si possono arrestare i cambiamenti evolutivi dell’economia, del lavoro, delle professioni, proveremo a dominarli.
-          I nostri Professionisti sono da sempre favorevoli ad un mercato che innova, che compete, che abbandona modelli superati ed è alla ricerca costante di nuovi obiettivi. La parola d’ordine dei prossimi mesi (forse durerà anni) sarà SPRINT, Stabilità, Professionalità, Riconoscibilità, INnovazione, Tenacia.
Stabilità:. Dobbiamo tornare alla stabilità affinché migliorino le condizioni di vita delle persone e si torni a sperare e a realizzare i propri progetti professionali
Professionalità:  E’ il momento di superare “il lavoro de-meritato” per arrivare a quello professionale fondato su capacità e conoscenze.
Riconoscibilità: il professionista che investe sulle proprie competenze deve essere riconoscibile ed il suo percorso formativo, le sue esperienze professionali e le competenze sviluppate e messe in campo devono essere identificabili..
INovazione : le classi dirigenti delle associazioni professionali e delle forme aggregative, come il CoLAP, devono essere in grado di promuovere innovazione attraverso lo sviluppo di competenze, idee, progetti nuovi.  Ma l’innovazione deve anche essere lo spirito con il quale si muovono le iniziative politiche, quando si parla di professioni si deve pensare “nuovo” abbandonando la cattiva abitudine di riciclare modelli vecchi e fallimentari (che già non funzinano per i mondi per i quali sono stati inventati).
Tenacia: per navigar in questi mari ce ne vuole molta e noi ne abbiamo in abbondanza, è stata la compagna più fedele e più utile anche in mezzo alle tempeste più minacciose.

-          Riguardo al Lavoro Autonomo, che attenzione riceve da parte del legislatore e della politica attuale?
Il CoLAP si è sempre mosso per l’esclusivo bene dei propri associati e dei loro clienti, abbiamo certo firmato compromessi, come il testo di legge sul lavoro autonomo dello scorso maggio, ma sempre coerenti con i nostri obiettivi, e soprattutto con i nostri Valori, non abbiamo svenduto sedie, né moltiplicato finti incarichi, abbiamo allargato la partecipazione a chi era spinto dai nostri stessi ideali e dalle nostre stesse volontà. Questo ci ha permesso di divenire un interlocutore serio e affidabile, non certo docile, ma fedele ai propri soci e alla nostra missione. Oggi il CoLAP è autorevole, forte e organizzato siamo pronti quindi ad affrontare il futuro e le sfide che esso ci proporrà.

-          Nell’atmosfera riformistica che anima parte dei parlamentari, che rapporto va delineandosi tra il mondo rappresentato dal “pubblico” e statale, e quello privato rappresentato dalla libera iniziativa personale e lavorativa dei cittadini?
-          Tra gli obiettivi strategici di questo mio mandato abbiamo l’affrancamento dall’esclusività di rappresentanza del lavoratore autonomo, i nostri professionisti sono sì autonomi, ma anche dipendenti, soci di cooperativa, piccoli imprenditori, collaboratori etc. Dobbiamo pertanto rafforzare tutte le aree della nostra rappresentanza, su questo lavoreremo da subito per recuperare eventuale tempo e terreno perso.

-          Nel Suo discorso di insediamento, parla della bella storia di Pirandello “Ciaula scopre la luna”. Che cultura dell’innovazione si intende, quando il lavoro umano al di fuori di rapporti contrattuali tradizionali, viene a perdere la valenza di dignità e diritto, sancito dalla nostra Costituzione stessa? In questo senso, qual è la missione più forte del Colap in questo momento?
-          In questi anni abbiamo vissuto un’Italia che cambia, una politica che muta, un’innovazione silente nella partecipazione che è poi esplosa, un mercato del lavoro che ha in parte ucciso il lavoro e in parte ne ha inventato di nuovo, e tutto questo è stato condito da una forte incertezza e dalla paura. La paura di trovarci a fare i conti con il cambiamento, che ci chiede necessariamente di lasciare qualcosa di noto per qualcosa di più grande ma ignoto. Ciaula scopre la luna “di Pirandello”, guarda bene dentro quella miniera buia, fredda, ostile, ma che amava più del mondo fuori, perché solo lì si sentiva sicuro. Poi Ciaula un po’ spinto dagli eventi e un po’ spinto dalla fatica esce fuori e scopre la luna, un mondo nuovo da cui si sente affascinato da subito; ci sono voluti anni e molto coraggio, ma Ciaula è riuscito a liberarsi del peso della sua paura per scoprire la bellezza dell’ignoto e la luce che il cambiamento porta con sé. Noi professionisti del CoLAP, aiuteremo Ciaula ad abbandonare modelli consolidati e superati per navigare verso nuove opportunità, nuovi riferimenti che in maniera più consona rispondono alle esigenze del momento; questo chiediamo alla politica, alle istituzioni, ma anche ai sindacati:”usciamo da modelli arcaici e pensiamo a tutele e competitività facendo riferimento a questo nuovo mercato del lavoro”.

-          Riguardo alle donne, che rappresentano una grande parte dei professionisti rappresentati dal Colap, cosa c’è in progetto di fare per sostenerle in un mercato del lavoro italiano così penalizzante per loro?
-          Abbiamo lottato e ottenuto anche nel testo sul jobs Act del lavoro autonomo, appena licenziato, alcune tutele specifiche per le donne, come lindennità senza astensione, introduzione dell’indennità per congedo parentale di sei mesi da usufruire entro i primi tre anni di vita del bambino, con possibilità di usufruire di una sostituzione temporanea da parte di un collega di fiducia che abbia le stesse competenze. Bene la parte sulle nuove tutele per la maternità, poco convincente il congedo parentale, per le lavoratrici autonome è impensabile stare a casa per un lungo periodo così come avviene per le lavoratrici dipendenti: il cliente non ci aspetta. Ma crediamo fortemente che le donne che scelgono di lavorare autonomamente, debbano essere ancor di più messe in condizione di poter lavorare, per non dover mai scegliere tra lavoro e famiglia, quindi lottiamo per il concetto di genitorialità che si deve sostituire a quello di maternità, poiché sulle donne ancora troppo spesso grava il peso della cura familiare (figli, genitori…). Le Istituzioni devono aiutare queste professioniste, non importando modelli peraltro poco efficaci del lavoro dipendente, ma cercando di “calare” riforme e tutele specifiche per chi deve e vuole continuare a lavorare, anche dopo aver avuto un figlio. Bisogna avere il tempo di prendersi cura dell’altro, ma anche il tempo di “curare” i propri interessi e clienti, che non aspettano purtroppo le pause lavorative, seppur legittime.

-          Spesso parla della Sua squadra di lavoro fortemente al femminile, come “le ragazze del Colap”. Riguardo alla capacità di “mettersi al servizio”, in cosa differiscono le donne?
-          Lo scorso anno, la squadra femminile del CoLAP, è stata premiata al Campidoglio, con il premio “Family Friendly”, con la seguente motivazione: “Premiamo l’aver costruito un’organizzazione family friendly, che ha fornito un’opportunità a chi dopo la nascita dei figli avuta aveva dovuto rinunciare al lavoro. La scelta del part time con differente carico a seconda dei ruoli; l’organizzazione del lavoro che consente di operare alcune funzioni non necessariamente in sede; l’aver attrezzato uno spazio per ospitare i figli in caso di necessità, sono state scelte oculate che pur non implicando un particolare investimento economico hanno una grande rilevanza per consentire una concreta armonizzazione tra lavoro e vita familiare”. Il CoLAP anche se tutti lo chiamano la CoLAP, proprio perché risalta la nostra totale componente femminile, è una piccola organizzazione con una forma associativa, composta da 5 donne, tutte part-time e tutte con esigenze di cura (diverse) presenti e a volte pressanti nella nostra vita”. Organizziamo e proponiamo incontri, in orari conciliativi e quelle volte che organizziamo in sede eventi pomeridiani o serali ritagliamo uno spazio strutturato per bambini, questo permette a tutti di partecipare serenamente. Ciò è stato reso possibile perché io ci credo ma anche perché nel mio direttivo metà dei consiglieri sono donne; l’auspicio è che un giorno questo tema sia ugualmente sentito da un consesso di soli uomini”.
Penso che una delle capacità predominanti delle donne, sul lavoro, sia quella di essere affidabile e flessibile, giocando su più ruoli diversi, senza per questo venir meno alle proprie responsabilità.


giovedì 8 giugno 2017

Il Movimento che plasma lo Spazio

di Simonetta Ottone • Pina non ha bisogno di presentazioni.

Gaia Seghieri, Architetta, è una donna che si è misurata con un ambiente di lavoro fortemente caratterizzato dal modus operandi maschile, e ha cercato di mantenere tuttavia una visione artistica e personale. Gaia ama la danza come espressione in movimento dellarchitettura umana, al servizio di unidea di centralità del rapporto tra uomo e spazio. Gaia entra nel vivo, e parla di lei, di Pina Bausch e del suo rapporto con lo spazio.
Nel 2011 Wim Wenders ha voluto rendere omaggio ad una delle più importanti coreografe, e danzatrici contemporanee: Pina Bausch (Solingen, Germania, 27 luglio 1940 – Wuppertal, Germania, 30 giugno 2009), attraverso un film/documentario che ho avuto occasione di vedere poco tempo fa.


Al termine del film mi sentivo molto nutrita, e completa, sensazione che provo ogni qualvolta vedo, sento o tocco un qualcosa che ha lasciato un piccolo seme di cambiamento dentro di me, può essere un opera d'arte, una canzone, un testo letterario, un paesaggio, un gesto, uno sguardo.
Una delle cose che mi hanno più colpito del film, oltre alla bravura dei danzatori, sono stati l'architettura ed il paesaggio affrontati in modo così diverso da Pina, in modo così non convenzionale. Mi sono sempre interessata alla danza, e per alcuni anni ho partecipato a corsi di teatro danza, ma per me questa passione era un qualcosa che si limitava allo spazio teatrale, ed anche nel momento in cui poteva uscire fuori dal teatro, nella mia mente, questa disciplina, rimaneva inclusa in una bolla protettiva, che non aveva niente a che fare con la vita ordinaria.
Ed invece non è così, la danza ed il movimento creano lo spazio, un piccolo movimento del danzatore trasmette una vibrazione diversa della materia di cui lo spazio è costituito.

Pina faceva muovere i suoi danzatori negli spazi urbani e periferici della cittadina tedesca di Wuppertal, dove ha ancora sede la sua compagnia di teatro-danza, e qui ogni angolo veniva riutilizzato per creare una relazione di armonia tra la danza e gli edifici, tra il movimento ed i mezzi urbani, tra il corpo umano ed i materiali che compongono i palazzi e le strade, investendo di una nuova luminosità luoghi, dove di luce ce ne è piuttosto poca, o dove la neutralità degli spazi e dei colori non rimanda di certo ad ambienti solari e calorosi. Ma il movimento ideato da Pina trasforma lo spazio urbano, generando quadri dinamici, immagini che ci riportano ad un uso diverso, e sicuramente onirico del luogo, dello spazio, della città.
Tanti sono gli spunti di questa opera densa che è il film: un vero atto damore di Wenders per larte di Pina Bausch. Un uomo che interloquisce con una scala mobile, nel centro cittadino, disegnando cerchi danzanti nell'aria, seguendo con i piedi il movimento continuo dei gradini rotanti, proiettando un'immagine poetica che si allontana dalla visione grigia, smorta, e fissa di una semplice scala mobile.
Quattro sedie ed un tavolo posizionati lungo un torrente, in un bosco al di fuori della città, dove una donna seminuda abbraccia un tavolo di vetro, nell'atto di avere un ultimo momento di intimità. Nella Schwebebahn, la tipica ferrovia monorotaia sospesa a 8 metri da terra e a 13 metri dal fiume Wupper, una ballerina in abito da sera entra in uno dei vagoni, ed inscena, attraverso rumori e movimenti meccanici, una dolce lotta con il suo cuscino, che alla fine sistemerà su di una seduta; nessuna delle persone presenti all'interno del vagone la guarda, come se non esistesse, proprio come in un sogno.
Danzatori in abiti da sera, uno dietro l'altro in fila indiana, percorrono lo spazio urbano della città, scrivendo con i gesti le quattro stagioni, sotto un raro sole tedesco, trasmettendo un atmosfera dolce e  serena. Lo spazio di una piscina coperta viene rivisto, e rimodellato dalla danza sensuale e iniziatica di una giovane danzatrice: attraverso gesti semplici ed amplificati l'ambiente acquista un nuovo significato, e la quotidianità trova la possibilità di essere vissuta in modo totalmente diverso.
Nello stabilimento industriale Zollverein una donna mette carne nelle sue scarpette da ballerina, per poter danzare sulle punte, in un ambiente che trasuda abbandono e trascuratezza, la sua danza catalizza l'attenzione dello spettatore ed i grossi blocchi cementizi, e le tubazioni ferrose si trasformano in un castello, come in una favola.
In un incrocio stradale, sotto la ferrovia sospesa, una coppia di danzatori trasforma l'aiuola urbana in un giardino incantato dove il loro amore nasce, si sviluppa e termina. All'interno di una struttura completamente in vetro, in un bosco dedicato alla mostra di sculture, i danzatori trasformano lo spazio espositivo in un punto di incontro, dove le emozioni esplodono in tutta la loro pienezza. Negli spazi consequenziali di un capannone industriale, due danzatrici, l'una danzando con il pavimento, l'altra gettando terra e sabbia sulla prima, riescono a riempire con la reiterazione dei loro gesti, spazi troppo immensi. In una ex cava, alla periferia della città i danzatori in fila indiana continuano la loro iniziale camminata urbana, proseguendo in un paesaggio lunare e desertico, aggiungendo note di colore ad un paesaggio non più vissuto.
In tutti questi passaggi è come se l'architettura non fosse più fatta di materiale solido, ma riuscisse ad acquisire una nuova sostanza, che insieme alla coreografia traccia una nuova scrittura scenografica, concepisce relazioni tra uomo ed ambiente dove non vi sono, dona la possibilità di avere lampi di luce in aree completamente in ombra, esalta emozioni e sentimenti ordinariamente compressi, dona la facoltà di ispirazione in qualsiasi situazione e luogo.
E donne e uomini riescono finalmente a dialogare".

martedì 25 aprile 2017

Danzare il Simbolo. Quando il ricordo di sé può liberare

di Simonetta Ottone • Una dimensione maschile e femminile, quella della tossicodipendenza.
Uomini che “amoreggiano” con la loro amante, la sostanza, che sa come sedurre loro, farli abbandonare. O donne che trovano in lei la loro “cattiva madre”, che odiano, ma che soprattutto amano, perdonandola e cercandola sempre.
“Sono più forti le donne. Per un figlio riescono anche a chiudere con la roba. Sono più fortunate di noi”, dicono in questi gruppi a prevalenza maschili con cui ho lavorato per anni.
Da quando ho scritto “Danzare il Simbolo. DanzaMovimentoTerapia nel mondo tossicomane”, è successo che questo lavoro  è stato letto da tante persone e ha accompagnato la formazione di numerosi studenti di DanzaMovimentoTerapia, poiché adottato in varie Scuole italiane, che ringrazio.

Utilizzato anche da chi interessato semplicemente alla Relazione di Cura e di Aiuto, molti di Voi mi hanno fatto domande, inviato interviste, o sono passate dai miei incontri.
So che sono state scritte tesi che hanno utilizzato questo testo, come elemento di studio o  addirittura di partenza, sia in Italia che all’estero.
Me ne rallegro molto.
Mi auguro che metterlo nuovamente a disposizione possa contribuire a diffondere un’informazione corretta riguardo una disciplina così completa, come è la DanzaMovimentoTerapia applicata a un ambito tanto complesso quale è della tossicodipendenza.
Nel frattempo, nuove e sconosciute dipendenze maturano e ci chiedono di continuare a cercare.
Danzare il simbolo è stato presentato più volte, in particolare in Toscana, anche all’interno di Pisa Book Festival 2012.

Di seguito un breve Abstract:
Terminati i primi anni di lavoro come Danzamovimentoterapeuta, ripercorrendo a ritroso l’esperienza sul campo dei miei interventi, ho capito che forse il settore con cui mi son dovuta misurare più duramente, era quello della tossicodipendenza.
Elemento fondamentale del mio percorso, interagire con il mondo tossicomane mi ha costretta a rielaborare immediatamente ogni stimolo proveniente dalla mia formazione ma soprattutto dalla mia vita di danzatrice, tersicorea delle incertezze, tra ricerca di radici e nomadismo, in particolare di paesaggi umani.
Da un’esperienza tanto forte nasce “Danzare il Simbolo”, nasce questo libro scritto quasi da sé, come fosse stato “in pelle” per anni, aggiungendo ogni giorno, ad ogni incontro,  qualche parola prima impensabile.
Quasi un’umile ed anonima cronaca di guerra, un diario di bordo senza bussola, in acque agitate, profonde e scure.
Bruciante desiderio di condividere un percorso di studio e di lavoro in un campo (l’applicazione della Danza in ambito di tossicodipendenze) forse poco dibattuto e testimoniato: pochi riferimenti, nessuna certezza e  un discreto livello di angoscia nell’addentrarsi in un mondo tanto altero.

Si tratta di un libro semplice, snello ma non privo di spessore intrinseco e di rimandi teorici che odorano di Arte e Scienza, in una sintesi creativa dalle inimmaginabili possibilità applicative.
La Prefazione a cura di Paola De Vera D’Aragona, l’Introduzione di Giorgio Corretti, la Premessa di Enrica Ignesti, sottolineano l’importanza di conoscere a fondo questa disciplina, e la popolazione umana cui è indirizzata.
Il linguaggio di questo libro,  è quello di una danzatrice che si abbandona per la prima volta a un  salto inusuale, inesplorato, che la porta dal movimento alla parola. Ne scaturisce una  parola scarna, immediata, in cui si racchiude lo spazio di un’esperienza toccante come persona e come terapeuta. Vi si immagina di parlare al mondo, in queste pagine, a un caleidoscopio di umanità variegata: gente comune, gente che si vuole dare il diritto di sognare e quindi di sperare, gente impegnata nella relazione di cura, di aiuto, nell’autoconoscenza, gente che crede a ipotesi, punti di vista altri. Una terra di nessuno, il mondo tossicomane. Indifferente e inaccessibile, riesce forse a farsi permeare dal ricordo di un’armonia che la Danza porta in sé, che ogni Uomo, da qualche parte, porta in sé.

giovedì 20 aprile 2017

La strada di Ilaria

di Simonetta Ottone • Il 20 Marzo scorso ricorrevano i 23 anni dall’uccisione di Ilaria Alpi.

Il 10 Aprile scorso ricorrevano i 26 anni dalla tragedia del Moby Prince. 
Mi ricordo quattro anni fa, che insieme al Comune di Collesalvetti lavorammo perché fosse intitolata una strada a Ilaria. E l’attesa degli ultimi anni, in cui della documentazione importante è stata desecratata, ma di fatto non è successo niente.

Ho ritrovato ciò che scrissi per proporre al Comune di dedicare un’intera Giornata a Ilaria, in attesa dei venti anni dall’accaduto: 

Mogadiscio, 20 Marzo1994 - Livorno, 20 Marzo 2014
"Il nostro paese ha bisogno di ricordare, è vero, ma anche di comprendere finalmente le ragioni di quanto accaduto. Accertare la verità e individuare i responsabili deve continuare ad essere una priorità (...)". Pietro Grasso 

Vent'anni di verità omesse, silenziose, striscianti, silenti. Vent'anni in cui, nella nostra democrazia "avanzata", si è uccisa due volte questa storia. Una famiglia che muore, in attesa di una risposta; un paese che vede ancora una volta  naufragare il diritto di sapere.
Lasciare segni, tracce, parole. Questo sembra il senso di alcune vite.

Intitolare una strada a Ilaria Alpi e Miran Hrovatin è un gesto giusto, per una città attenta; è un gesto che i cittadini desiderano: un atto simbolico che restituisce quell'idea di dignità collettiva che questa vicenda, come altre in Italia rimaste oscure, si è portata via. Ma, affinché questo gesto non resti isolato, e che non abbia come solo lascito un nome su una lapide, pensiamo che serva un momento di approfondimento e di condivisione che accompagni un compiuto processo simbolico.  Per questo pensiamo che il Teatro sia lo strumento migliore: lo spettacolo “A Voce Alta” darà l'occasione di assistere a un evento performativo composito nella interazione di diversi linguaggi espressivi che si svolgono dal "vivo", attraverso la presenza, la testimonianza, l'interazione col pubblico. Si tratta di uno spettacolo che gira già dal 2003, per teatri, scuole, centri sociali, manifestazioni, sale consiliari, e che non perde la sua "urgenza", fondata sul rapporto diretto con la realtà che ci circonda.
Il testo teatrale, scaturito in parte da ricerche giornalistiche condotte insieme a Luciano Scalettari (Famiglia Cristiana, Consulente Commissione parlamentare d’inchiesta delitto Alpi – Hrovatin, coautore di “Ilaria Alpi, un omicidio al crocevia dei traffici”, Baldini & Castoldi), a ogni replica è stato aggiornato e confrontato, seguendo attentamente gli sviluppi della vicenda.  

Eravamo in quel periodo. Un pomeriggio mi squilla il telefono, rispondo un po’ scocciata che lavoravo sodo per preparare quell'appuntamento, premo il tasto e di là c’era la voce grossa e gentile di Luciana Alpi, la madre di Ilaria. Le spiegai il nostro lavoro e lei si ricordò di quando nel 2002, stavamo scrivendo il testo di “A Voce Alta”, Giorgio ci aveva mandato da studiare un sacco di roba, anche video. E poi approvò il copione che risultò dal nostro lavoro, e lo definì con parole scelte e gratitudine “Bravi ragazzi, il testo è preciso e circostanziato. Bravi.” Luciana si ricorda di quei teatranti toscani, seguiti dal giornalista Scalettari.
Poi arriva il momento di salutarci, e sento nel telefono la voce rotta di Luciana “Vi ringrazio che dopo tanto tempo parlate ancora di Ilaria. Giorgio è morto, lo sapeva? Sono sola.” 

Non venne Luciana a Collesalvetti quel giorno, ma mi arrivò una lettera che mi chiesero di fare avere anche al Comune. Lo feci, e questo comunicato fu letto alle scuole la mattina in cui fu inaugurata la strada di Ilaria a Collesalvetti, e la sera, prima del nostro spettacolo e dell’incontro con Luciano Scalettari.

Questa è la lettera, che teniamo come un invito a continuare a parlare di lei, a danzare la sua forza, la sua libertà, e a farlo A Voce Alta.

Al Sindaco del Comune di Collesalvetti (Livorno)
e alla Associazione Compagnia DanzArte

10 aprile 1991: la tragedia del Moby Prince nel porto di Livorno.

20 marzo 1994: l’esecuzione premedita di Ilaria Alpi e di Miran Hrovatin a Mogadiscio in Somalia.

La giornata dell’11 maggio prossimo con l’intitolazione di una via a Ilaria e lo spettacolo teatrale che andrà in scena è molto importante perché aiuta a non dimenticare, a percorrere un pezzo di storia ancora senza verità, senza giustizia.
Lo farete “a voce alta”  e vi sentiremo anche se non saremo lì con voi.
Grazie per questo impegno: vi esprimo vicinanza, affetto solidarietà.
Lo faccio anche a nome di Luciana, mamma di Ilaria Alpi.

Cara Ilaria,
non sappiamo se ti farà piacere questa
cronistoria di quattro anni di avvenimenti,
di lotta e di inchieste per conoscere la verità
di questo orrendo delitto che ha troncato
la tua gioia di vivere.
……….

Ti chiediamo di capirci.
Per noi questa lotta è ragione di vita, nel
tentativo, forse illusorio, di portare a termine
il tuo impegno. Non sarà facile tratteggiare
questo lungo periodo di speranze, illusioni
e grandi amarezze. Sappi, tesoro, che tante
persone ti hanno tradito, hanno cercato
di rendere difficile ogni ricerca della verità.
Un bacio  
Mamma e papà

(da “l’esecuzione - inchiesta sull’uccisionedi Ilaria Alpi e Miran Hrovatin; di Giorgio e Luciana Alpi, Mariangela Gritta Grainer Maurizio Torrealta, Kaos ed. 1998)


Queste parole “scolpite” da Luciana e Giorgio Alpi 15 anni fa ci fanno ancora vibrare: sono cariche di dolore indignazione ma anche di un amore immenso per Ilaria, per la loro unica figlia e per il suo modo di fare giornalismo di cercare sempre la verità e di comunicarla. Vogliono portare avanti il suo impegno convinti già da allora che è proprio per questo  che l’hanno uccisa insieme a Miran: ha fatto e fa ancora paura. Ed è per questo che anche la ricerca della verità sulla sua uccisione è difficile ancora.
Non è più con noi Giorgio: ci ha lasciati domenica 11 luglio 2010. Ma è sempre vicino a Luciana e anche a tutti noi: ci accompagna e ci guida in questa lotta che vogliamo condurre insieme a Luciana fino in fondo.

Come nelle molte tragedie italiane anche qui il corso della giustizia è stato compromesso, gli assassini e chi li copre hanno potuto contare sul fatto che le tracce si possono dissolvere, che alcuni reperti sono scomparsi o non sono più utilizzabili, che molti testimoni hanno mentito non hanno detto tutto ciò che sapevano, altri sono morti in circostanze misteriose, che anche pezzi di Stato hanno lavorato all’accreditamento ufficiale di una falsa versione manipolando fatti reali.

Ma nonostante infiniti tentativi di chiudere questo caso da anni, l'impegno incessante di Giorgio e Luciana Alpi lo hanno tenuto aperto e grazie a loro all’associazione Ilaria Alpi al premio e alle moltissime scuole, istituzioni, migliaia di cittadine e cittadini che sono impegnati il caso è ancora apertissimo. 

Anche per le vittime della tragedia del Moby Prince si sta lavorando ancora perché non tutto quello che si poteva fare è stato fatto.

Siamo ancora qui non ci arrendiamo vogliamo e avremo verità, tutta la verità e giustizia.

Un abbraccio a tutti voi, come noi impegnati per la giustizia, per la verità, per la vita: insieme ce la faremo.

Mariangela Gritta Grainer anche a nome di Luciana Alpi, Presidente associazione Ilaria Alpi, maggio 2013