giovedì 29 gennaio 2015

Lavoro: la discriminazione inizia già nella selezione del personale

Facciamo un esempio. 
A tutti i selezionatori del personale sarà capitato (e spesso) di sentirsi dire dall'azienda cliente (benché negli annunci non possa apparire nessuna discriminazione per sesso) che "preferisce un uomo" nella stragrande maggioranza dei casi in cui deve selezionare a fini assuntivi personale in ruoli impiegatizi di un certo livello, cioè ove ci siano mansioni di responsabilità, coordinamento: ...e non perché non ritenga preparate e adeguate le candidate donne ma perché gli uomini "hanno più polso" non rischiano di assentarsi "per motivi familiari"  eccetera.
Tutto ciò può arrivare a livelli addirittura di ostinazione anche quando, nonostante fra i tanti curricula ricevuti le migliori candidature, sia dal punto di vista oggettivo che soggettivo, siano palesemente di donne.
E' difficile, anche se mai inutile, cercare di fare consulenza al cliente mettendolo di fronte al fatto che cercare a tutti i costi di prolungare la permanenza degli annunci, ad esempio, potrebbe portare si a trovare il candidato "uomo", ma non sempre con vantaggio: cioè al rischio di ritenere più valido un curriculum carente solo perchè di genere maschile.
L'impegno, quindi, deve essere di diffondere nell'imprenditoria una cultura della parità di genere che si esprima sin dalle prime fasi della vita lavorativa, senza nulla precludere, nella scelta, alle persone che si vogliono inserire nell'organico aziendale. 
Forse a ridurre i pregiudizi potrebbe concorrere un nuovo metto di selezione, volto a farsi un'idea prima basata sulle competenze, e solo successivamente completata dai dati personali (di sesso o di razza, ad esempio). Che effetto farebbe proporre in prima istanza solo candidature "anonime", riportando nella presentazione delle candidature solo le esperienze formative e lavorative?

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